di Vito Bianco

Il cinese con gli occhiali rotondi al quale avevo fatto la domanda, sguardo malinconico e collo pallido e lungo da cigno orientale, ci ha messo un po’ prima di rispondere. Si fissava il dorso di una mano come se lì potesse leggere quello che poteva dirmi. Mentre aspettavo con il sigaro tra le labbra e i lampi bluastri che rapidi attraversavano il mio campo visivo, una vespa grassa con la testa verde ha percorso ronzando lo spazio che separava l’ingresso dal bancone e si è messa a girare attorno alle nostre teste disegnando nell’aria circoli sempre più stretti. Io, infastidito e temendo il pungiglione, agitavo le mani per tenerla a distanza, il cinese triste se ne stava invece immobile come prima, anche se adesso sembrava aver liberato un quasi invisibile sorriso che lo aveva come trasfigurato: e in effetti avevo l’impressione che un altro cinese, per molti aspetti identico al primo, avesse preso il posto di quest’ultimo, sovrapponendosi alla sagoma del precedente, occupando gli identici cubiti di ossigeno, rubandogli forma, altezza e vestiti.
Si fece avanti una cliente e gli chiese se aveva i sostegni con calamita per tenere ritto sul tavolo lo smartphone. Il mio cinese fece sì con la testa e prese un aggeggio di plastica da un cassetto che non vedevamo. La cliente, una signora formosa con i capelli viola tagliati a caschetto lo prese e disse che andava bene. La signora pagò sette euro e andò via. La vespa, che si era allontanata, tornò ronzando più forte, un sibilo irritato, piccato, con il quale cercava forse di comunicare il suo impellente bisogno di essere presa sul serio, oltre che di sangue umano. Il cinese la guardava ora con una certa curiosità e io mi chiedevo se i suoi pensieri riguardassero la vespa oppure la moglie che un momento prima aveva fatto capolino da dietro una tenda color fragola che impediva la vista sul retrobottega dove forse il cinese e la sua donna mangiavano e si riposavano.
Adocchiando la donna piccola con i lunghi capelli lisci e neri legati a coda mi è venuta in mente la sartoria dei connazionali con il padre di famiglia eternamente chino sulla macchina da cucire e sempre sorridente che non parla una sola parola di italiano e non lo capisce e senza la mediazione del figlio sarebbe costretto a chiudere. Non so perché, forse per via dello sguardo smarrito della donna, che somigliava al sorriso smarrito e infantile del sarto.

La vespa si era posata sul bancone di vetro accanto alla mano destra del cinese che aveva all’anulare un anello di plastica rosa. Da lì lo guardava con un interesse quasi scientifico, o così almeno sembrava a me, assorto com’ero a mia volta in una contemplazione non scientifica ma mistica: per qualche minuto avevo assunto il punto di vista della vespa, avevo, si potrebbe dire, trasferito la mia pensierosa umanità nell’animalità solitamente inconcepibile della vespa, anche se sarebbe probabilmente più corretto dire che la sua verdebruna animalità vespigna, insettigna e di breve durata aveva penetrato il contegno normalmente ascrivibile alle caratteristiche della nostra specie, che come tutti sanno comincia la sua fantastica avventura trecentomila anni fa e non è ancora finita.
La mano del cinese si mosse e la vespa volò rapida verso la porta anch’essa di vetro, come quasi tutto in quel negozio dove si poteva trovare qualunque tipo di merce. I cinesi, pensai, che hanno alle spalle millenni di storia inenarrabile, hanno sviluppato una stupefacente capacità di adattamento e mimetizzazione, una capacità germogliata d’improvviso dopo secoli di gelosa separazione dal resto del mondo, di scontrosa e superba autarchia, di lontananza dagli altri e anche un po’ da se stessi, come se avessero avuto paura di vedere bene, con sufficiente chiarezza, chi erano e dove erano in grado di arrivare.
I vecchi, lei vuole sapere dei nostri vecchi, disse il mio cinese con gli occhiali rotondi. Già, sono venuto a chiederle dei vostri anziani, i nonni dei bambini saggi che ogni tanto si vedono nei parchi seduti a gambe incrociate sotto una quercia o una magnolia. Dove muoiono? Nel nostro paese, disse lui, alzando il braccio verso l’alto, come se la Cina fosse una regione del vasto e incomprensibile cielo.

Di Bac Bac