“Tutta la provincia di Agrigento soffre di una penuria di acqua addirittura inverosimile (….). Agrigento che non ha acqua nelle case, ne abbonda invece nel cimitero: paradosso che assurge a simbolo di soluzione metafisica di un problema che resta per i vivi insoluto” 

Leonardo Sciascia, 1968  

Le cause  

La penuria di acqua e la distribuzione idrica per poche ore la settimana sono state sempre caratteristiche di Agrigento. Negli ultimi mesi, però, la situazione si è aggravata e peggiora di giorno in giorno: il periodo dei turni si allunga e diminuisce il tempo di erogazione. Qualche volta, poi, il turno salta e in alcuni quartieri si rischia di aspettare anche due/tre o più settimane prima di avere l’acqua nelle proprie case. Non osiamo pensare quello che potrà succedere nei prossimi mesi in mancanza di piogge e con i bacini idrici quasi all’asciutto.  

(Fontana di Bonamorone, simbolo della crisi)

I motivi della carenza d’acqua, però, non possono essere legati soltanto al cambiamento climatico – sempre negato con piglio antiscientista dalla destra – che ha portato negli ultimi anni al continuo aumento delle temperature e a precipitazioni sempre più scarse. Il fattore serio e preoccupante del riscaldamento globale non spiega da solo la cronica mancanza di acqua. C’entrano anche e soprattutto ataviche incapacità amministrative, che hanno creato una situazione insostenibile. Basti pensare allo svuotamento della diga Trinità a Castelvetrano, con milioni di litri di acqua che finiscono a mare perché la struttura non è stata ancora collaudata. Oppure, ai 31 progetti idrici, del valore di 423 milioni di euro, presentati dalla Regione Sicilia, che avrebbero potuto dare un notevole contributo all’ammodernamento del sistema idrico siciliano, bocciati lo scorso anno perché non conformi ai bandi del PNRR.  A distanza di due anni e mezzo da quella mortificante figura dei nostri governanti, la Sicilia vive una crisi idrica senza precedenti. 

Se l’acqua è poca, i buchi non mancano. Le reti colabrodo disperdono nella nostra città oltre il 50% dell’acqua immessa. Uno spreco enorme, non più tollerabile. Le riparazioni tardano, nonostante l’abbondanza di dipendenti dell’Aica, che prova ad assumerne altri con procedure anomale, per saziare le clientele dei suoi padrini, mentre l’acqua continua a dissiparsi. La nuova rete idrica cittadina, promessa dal 2007 (anno della privatizzazione del servizio idrico) da deputati, sindaci e ben cinque presidenti di regione, da ultimo è andata in fumo per la perdita del finanziamento di 44 milioni, dovuta al mancato rispetto dei termini di utilizzo. Dopo aver negato per mesi la revoca del finanziamento, l’on. Roberto di Mauro aveva promesso agli inizi di maggio, in piena campagna per l’elezione del parlamento europeo, che entro due mesi i lavori sarebbero partiti. Di mesi ne sono passati quattro e stiamo ancora aspettando. Quindi, non è immediatamente riconducibile ad una calamità naturale la carenza d’Acqua nelle nostre case, ma in primis ad una insufficiente capacità gestionale di chi ha amministrato la nostra città e che ha ridotto l’Aica (Azienda Idrica Comuni Agrigentini) ad un feudo personale al servizio di esigenze politiche.  

(Il lago di Pergusa prosciugato)

Le soluzioni a breve 

Se il superamento del problema nel medio periodo richiederà diversi interventi infrastrutturali, da subito occorrerebbe mettere in campo – siamo già in grave ritardo – tutte le misure possibili per un utilizzo razionale ed equo delle risorse idriche disponibili.    


Le iniziative utili da realizzare immediatamente per governare la fase emergenziale: 

  • Riunificazione nella gestione AICA di tutte le risorse dell’ATO idrico agrigentino, assicurando pari trattamento di dotazione e costo a tutti i cittadini. 
  • Miglioramento dei criteri di erogazione dell’acqua nei vari quartieri per una distribuzione equa a tutti i cittadini dell’acqua disponibile. È inammissibile che alcuni non soffrano minimamente la crisi ed altri debbano subire turni di attesa fino ad un mese. 
  • Priorità agli interventi di riparazione di impianti e condotte, limitando per quanto possibile la perdita di acqua. 
  • Scavo di nuovi pozzi. 
  • Erogazione del bonus idrico alle famiglie indigenti, che sono quelle che stanno soffrendo di più. 
  • Requisizione dei pozzi privati. 
  • Ricognizione delle sorgenti presenti nel territorio cittadino (esistono diverse fonti non utilizzate o sottoutilizzate abusivamente da imprenditori del servizio con autobotti). 
  • Controllo stringenti sulle autobotti private per verificarne la conformità alle norme igienico-sanitarie e la provenienza del liquido trasportato. 
  • Potenziamento dei controlli per individuare prese idriche abusive ed usi non appropriati dell’acqua potabile. 
  • Trasparenza della gestione AICA con comunicati settimanali sull’acqua disponibile e sullo stato di avanzamento dei lavori in corso. 
(Un invaso quasi vuoto)

La credibilità delle istituzioni 

Nel Consiglio Comunale straordinario tenuto lo scorso 27 giugno il Sindaco, l’assessore regionale Roberto Di Mauro e il presidente di AICA ottimisticamente pronosticarono il ritorno alla normalità entro poche settimane – massimo 45 giorni disse Settimio Cantone – attraverso la riattivazione di alcuni pozzi e la realizzazione di un dissalatore a Porto Empedocle. Ma, a tre mesi di distanza da quel Consiglio non si vedono ancora novità significative, mentre la situazione si è ancor di più aggravata, con gli invasi quasi prosciugati e turni di distribuzione allungati. Emblematico della inettitudine di diversi dei soggetti istituzionali responsabili è stato lo scontro tra l’ing. Salvatore Cocina della protezione civile (responsabile della cabina di regia istituita dalla regione per l’emergenza idrica) e i sindaci dell’ATO idrico di Agrigento. Il 14 agosto scorso in occasione di una riunione di emergenza convocata dal prefetto, Cocina ha accusato i sindaci di non aver fatto niente per contrastare la crisi idrica. Soprattutto di non aver individuato nuovi pozzi, unica soluzione suscettibile nell’immediato di aumentare la dotazione disponibile. Inoltre, ha pesantemente criticato il gestore idrico agrigentino di essere assolutamente incapace di affrontare la situazione: in poche parole, con atteggiamento pesante e infastidito, interrompendo lo stato confusionale del sindaco Franco Miccichè, ha sostenuto che il progetto di Aica è fallito.  

(L’ex lago di Pergusa)

Il dissalatore di Porto Empedocle 

Da pochi giorni l’ennesimo annuncio ad effetto: si realizzerà il nuovo dissalatore di Porto Empedocle, presentato come la soluzione definitiva per dare acqua abbondante e in modo continuativo agli agrigentini. Ma siamo certi che sia la soluzione auspicabile? I dissalatori sono usati in molti paesi del mediterraneo: Israele, per esempio, con il 60% del suo territorio desertico, ricava dalla dissalazione circa il 40% delle sue necessità idriche. Tuttavia, la dissalazione dovrebbe essere considerata come l’ultima fonte da utilizzare. Le priorità per aumentare la dotazione idrica stabilmente dovrebbero essere altre: 

  • sfangamento di dighe e bacini (soprattutto in questo momento in cui sono quasi tutti vuoti);  
  • completamento delle dighe in costruzione da decenni;  
  • verifica e collaudo degli invasi completati, per evitare casi assurdi come lo svuotamento dell’invaso Trinità; 
  • potenziamento e completamento delle opere di canalizzazione;  
  • rinnovamento delle condotte idriche cittadine e intercomunali;  
  • riutilizzo delle acque depurate;  
  • adozione di strumenti di controllo a distanza delle strutture di distribuzione;  

Realizzati questi interventi, se fosse ancora necessario, allora avrebbe senso realizzare i dissalatori. 

I problemi connessi all’attività dei dissalatori sono legati alle scarse qualità organolettiche dell’acqua, che ne consigliano la miscelazione con acqua di sorgente prima dell’uso; all’inquinamento ambientale prodotto dallo scarico in mare di salamoia e di reagenti chimici, con danni alla flora e alla fauna marine; all’alto costo di impianto e di esercizio, dovuto in particolare all’elevato consumo di energia. Un metro cubo di acqua dissalata costa circa 2 euro, mentre l’acqua di sorgente costa pochi centesimi e l’acqua che l’Aica oggi acquista dalla società di sovrambito Siciliacque costa 0,69 euro, ed è giustamente considerata carissima. Gli agrigentini, pur avendo poca acqua, pagano il servizio idrico con una tariffa che è tra le più care d’Italia. Con il dissalatore il costo crescerebbe a dismisura. Di questo sono coscienti i nostri amministratori quando si lanciano in facili ricette per uscire dalla crisi? 

(La manifestazione di Agrigento del 2 agosto)

Il potere politico di fronte alla crisi 

Dall’aprile scorso si sono create molte cabine di regia, facendone quasi delle strutture salvifiche che piacciono tanto alla nostra politica. C’è una cabina regionale e una all’Aica. Ad oggi, hanno partorito quasi niente, se non la richiesta di dichiarazione dello stato di emergenza, per ottenere dal governo centrale finanziamenti da spendere con procedure straordinarie: da sempre l’anticamera del malaffare. 

La verità è che finora non hanno prodotto uno sforzo serio per affrontare la crisi. Di più: hanno evidenziato una scarsa capacità politica e gestionale per portarla a soluzione. 

Gli amministratori locali sono tutti focalizzati sul dissalatore, ma niente si sa di altre misure utili a contrastare l’emergenza, oltre che di facile attuazione.  

E allora, vista l’opacità che caratterizza molti degli attori in campo, poniamo alcune semplici domande al Sindaco e al presidente dell’AICA.  

  • I lavori nei pozzi, che dovevano essere riattivati o scavati, a che punto sono?  
  • Perché le perdite macroscopiche d’acqua della rete cittadina non vengono riparate prontamente, ma dopo mesi, con uno spreco di acqua inammissibile, soprattutto in questo momento?  
  • È stato fatto un censimento delle sorgenti presenti nel territorio verificando la qualità dell’acqua e la possibilità di immissione in rete?  
  • Dopo che se ne parla da mesi, sono stati requisiti i pozzi privati? Ed eventualmente, quanti sono e quale portata aggiuntiva garantiscono ad AICA?  
  • Il bonus idrico alle famiglie indigenti perché non viene erogato?  
  • Come si pensa di garantire le dovute misure igienico-sanitarie con il permesso all’esercizio anche per le autobotti non autorizzate, come dispone l’ordinanza del sindaco? Già diverse autobotti sono state multate per trasporto di acqua non a norma. 
  • Visto che la situazione volge al peggio, con gli invasi al minimo storico ed in via di esaurimento, cosa si aspetta a chiedere l’intervento della protezione civile nazionale e dell’esercito?  

Sono domande semplici e pertinenti, ma anche questa volta (com’è già accaduto con le richieste consegnate dal “Cartello sociale” al sindaco in occasione della marcia per l’acqua del 1° giugno scorso) molto probabilmente le risposte non arriveranno. L’unica cosa che li preoccupa veramente è la rabbia composta ma forte e determinata delle manifestazioni popolari, che mettono alla berlina il potere asserragliato nelle grigie e sorde stanze del palazzo. Per questo si susseguono, da parte degli sgherri al servizio dei potentati locali, gli attacchi agli organizzatori della protesta, per delegittimare i leader della lotta popolare. 

Che fare? 

La situazione idrica è sempre più grave. Da drammatica qual è oggi, potrebbe tra breve trasformarsi in tragica, non appena gli invasi esauriranno le loro residue scorte di acqua. 

Bisogna elaborare un piano anticrisi efficace ed attuarlo con tempestività, affidandolo in mani capaci: non certo alle varie cabine di regia o, peggio ancora, all’Aica, ma alla protezione civile nazionale, dotata di strutture, risorse finanziarie e competenze tecniche adeguate. Più attendiamo, peggio sarà la situazione che dovremo affrontare in seguito, rischiando anche che l’evento “Capitale italiana della cultura del 2025” mostri al mondo una città con un livello di servizi da terzo mondo. 

Un’ultima osservazione a proposito dell’Aica.  

L’ing. Cocina ha liquidato l’Aica con poche è sprezzanti parole, ed ha ragione da vendere. Ma stiano attenti quelli che si sono battuti per l’acqua pubblica. Qualcuno ha interesse al fallimento della società consortile per intavolare un altro ricco tavolo di privatizzazione. Bisogna saper distinguere tra lo strumento, l’azienda pubblica, e la sua gestione. Lo strumento va difeso, la sua gestione accantonata con decisione. Magari chiedendo anche le scuse a chi, anche a sinistra, ha voluto e difeso un management incapace e servo di interessi politici.