di Guido Ruotolo
Li ricordo i cortei di “scuteroni” criminali a Pianura, durante la rivolta contro la discarica, eravamo nel periodo dell’emergenza rifiuti, nei primi anni di questo millennio. Li ricordo i ragazzi della malavita napoletana, spacciatori e venditori di sogni, speranze, merce rubata, nelle proteste di piazza a Forcella, messa a ferro e fuoco alla fine degli anni Settanta. E quegli “scuteroni” si sono rivisti venerdì notte a Santa Lucia. Essi sono una costante della città. Decine di migliaia di napoletani hanno vissuto negli anni Settanta e Ottanta grazie al contrabbando di sigarette. Le classi dirigenti li avevano condannato alla economia illegale non essendo in grado di offrire loro un lavoro “regolare”. I contrabbandieri di sigarette in quegli anni erano solo evasori fiscali. Ricordo la rivolta dei “Luciani”, al Pallonetto durante una “stretta” poliziesca. Il golfo di Napoli sembrava un set cinematografico con gli elicotteri e i mezzi d’altura della Finanza all’inseguimento degli “scafi blu”. Come possiamo credere che i dannati della terra abbiano un disegno, una progettualità, un programma? Chi alimenta la rivolta, la protesta di questi giorni a Napoli sono la disperazione e la debolezza delle istituzioni. E la conferma arriva dalle manifestazioni di queste ore in 17 città. Non si può eludere il disagio sociale, la crisi e la disperazione anche di categorie sociali forti (commercianti, ristoratori, esercenti di cinema e teatri, di piscine e palestre etc). Manifestazioni che con un nulla potrebbero degenerare nelle prossime ore. La rabbia si accumula e poi esplode improvvisamente. Torniamo a Napoli. A poche ore dagli scontri di venerdì sera, il sindaco senza arte né parte, Gigino ‘a bandana, ha attaccato il governatore De Luca: «È inadeguato, non può fare il tiranno». E mentre Napoli dà una pessima prova di tenuta democratica, di ascolto reciproco tra palazzi e piazza, lui, De Magistris, è in tv, a Roma. Anche De Luca ci ha abituati a una gestione dell’emergenza Covid tra battute da Bagaglino, a filippiche peroniste, a linguaggi violenti e crudeli. Lui ha anche un handicap: non è napoletano, non la capisce, non l’ama, l’ha sempre vissuta come nemica della sua Salerno. Domenica notte sono state fatte esplodere delle bombe carta sotto casa del governatore Vincenzo De Luca. È probabile che queste bombe siano di matrice politica: estrema destra, centri sociali, ultras. Le indagini speriamo che ci dicano presto la matrice di questa provocazione. In queste ore dall’ex ministro dell’Interno Marco Minniti al tuttologo Roberto Saviano tutti sono allarmati. E vengono prefigurati scenari di complotti insurrezionali, rivolte dei commercianti, dei lazzaroni, di estremisti di destra e di sinistra, di una criminalità insofferente alle regole restrittive imposte. Napoli e il Mezzogiorno hanno convissuto nella loro storia con vampate di rivolte e proteste. Dai lazzaroni contro i sanfedisti ai Moti di Reggio Calabria (1970). Ecco, se dovessimo immaginare uno scenario prossimo possibile penso a Reggio Calabria. Intendiamoci, Reggio Calabria fu una sperimentazione, dentro la strategia della tensione, di collaborazione tra neofascismo legato ad ambienti del Patto Atlantico e ndrangheta. Ma faremmo un madornale errore se non ricordassimo le ragioni sociali e il sostegno popolare di quella rivolta. Rivolta che rientrò con una politica del dividi et impera dei governi democristiani: Quinto centro siderurgico di Gioia Tauro, giunta regionale a Catanzaro ma Consiglio Regionale a Reggio Calabria. In fin dei conti è sempre stato così fino all’esplosione sulla scena politica della questione settentrionale (la nascita della Lega). Funzionò a non far precipitare la situazione la mediazione delle istituzioni, penso alle prefetture, e dei partiti, la Dc di governo e il PCI, partito di opposizione, fino alla metà degli anni Settanta, quando il PCI passò a esperienze di governo difffuso (dalle Regioni alle grandi città) e sostegno al governo Andreotti. Mezzo secolo dopo, però, lo scenario è radicalmente cambiato. Oggi scontiamo la crisi della politica, dei poteri forti che forti non sono. Persino il mondo dell’informazione annaspa. E le mafie che lavorano sotto traccia ma da almeno un quarto di secolo non sparano più e hanno abbandonato progetti golpisti contro lo Stato. La tenuta sanitaria e sociale del Paese si gioca in questi giorni. Questo governo deve riconquistare fiducia in sè e rifondare un modello di comunicazione diretta con i cittadini.